domingo, 28 de junio de 2009

Matusa don't dance

A proposito di consumi possibili, io ero lì che da bravo matusa cercavo una radiosveglia, e ho trovato questo (per qualche motivo sul sito della sony argentina non sembra esserci), e mi sono sentito tanto, ma tanto vecchio. (Kleine Fritzi infatti con grande spirito autoironico ha detto subito lo voglio!)

A mo' di piccolo omaggio pop-stumo, eccolo in azione. Il povero Michelino però ballava molto ma molto meglio.

lunes, 22 de junio de 2009

Del commercio di perline colorate

Insomma quel che volevo risponderti, Tanoka, è che il mio giramento di balle è pre-consumista. Cioè, non si parla del tipo che vuole cambiare l'ipod perché si è stufato del suo che è giallo e lo vuole rosso, ma del ragazzetto che vorrebbe comprarsi il primo e unico e lo paga il doppio di quel che vale - il che in termini di potere d'acquisto fa sette-otto volte di più rispetto al suo coetaneo di altrove. La sensazione di mano altrui che ti fruga le tasche non è piacevole per nessuno.

Per noi poi, che siamo o meno consumisti ossessivi, è comunque una tragedia cosmica. Un po' perché siamo abituati molto bene (potere d'acquisto, qualche anno fa anche qualità intrinseca dei prodotti, adesso mi pare meno), un po' per il set di gusti (e ideologia) merceologici che abbiamo ciucciato dal biberon, anche se non era ancora ergonomico. Dev'essere frustrante per tutti adattarsi ad un livello di vita da secondo mondo, ma qualcosa mi fa sospettare che un tedesco ci riesca con meno paturnie di noi. Perché da coatti che siamo, ci compriamo il giubbottino tecnico da spedizione antartica per fare casa-lavoro in autobus, la padella professionale multistrato per cuocere i quattro salti, gli orologi da astronauta palombaro...

Quindi, dal gruppone dei mille-millecinque al mese (parlo per me), convinti di avere accesso al minimo indispensabile, atterriamo qua e ci ritroviamo con meno soldi (relativamente) ma in compenso con esigenze ed abitudini che ci piazzano in un segmento più alto di quel che ci si possa permettere. Esempio che ripeto come un nonno rigato, la camicia da 40 euro per-andare-a-lavorare: per trovarne una equivalente qua, bisogna andare al negozio dei principi del foro, e costa 40x5=200 (a volte anche un po' di più). Il geom. del catasto chiaramente compra altrove. Non solo, ma per l'effetto perlina questi negozi picchiano ancora più duro (quest'indio cià i soldi, orsú leviamoglieli).

Fra Coronel Pringles e Tres Arroyos, sulla RP85

Mercato piccolo, poca concorrenza? Tasse alte all'importazione? Meno economie di scala? Consumatori meno esigenti? Boh, o forse tutto questo insieme. Ma pare che questo sbilanciamento in favore del venditore non sia solo un problema del dettaglio. Stavo curiosando sulla qualità delle farine e ho trovato questa paginetta: la federazione dei panificatori sta "lavorando insieme" (eufemismo?) a quella dei molini per riorganizzare la tipificazione delle farine per uso industriale. Insomma, questi comprano i sacchi e sui sacchi non c'è la tabellina delle caratteristiche tecnologiche, o se c'è non è detto che corrisponda al contenuto reale. I molini si giustificano dicendo che non possono far miracoli con il grano che trovano in giro. Mentre ormai la specializzazione da noi (da voi) arriva al consumatore da mezzo chilo (leggo blog di cucina su cui si sperimenta con mix di farine per fare le pizzette in casa), sembra che qui, almeno a livello artigianale, si lavori al buio.

Ad ogni modo, si fa di necessità virtù: uno evita i confronti dolorosi, sposta la soglia del suo minimo indispensabile, si accorge che in fondo non è poi la questione di vita o morte che sembrava, che non esiste un diritto all'olio extravergine spremuto a freddo da olive raccolte ad inizio invaiatura e da non più di 24 ore, si ricorda che nessuna delle nostre nonne è morta per assenza di spremiaglio di Venturini, e si gode la sensazione che nessun acquisto sia ovvio (mentre là da dove vengo la sensazione è che ogni acquisto sia metà-del-tuo-dovere), anzi l'ovvietà è non comprare mai niente nella prima visita al negozio e farsi tirare giù 15 modelli di qualsiasi cosa per comprarne rigorosamente uno solo; e poi, a farlo durare. Non è detto che ci vada poi tanto peggio.

miércoles, 17 de junio de 2009

Tutti figli di Alberto Sordi

Nella commovente (e pessimamente fotografata) natura morta, un intenso angolo di patria oltreoceano. Cosa non faremmo per sentirci vicini alla nostra bella Italia. La caffettiera coi baffi, la pentola a pressione dell'omino Linea, il disegnatissimo bollitore regalo di nozze, e, appena comprata, la cucina fabrianese-polacca. E' italiano pure lo strofinaccio rosso che si intravvede a destra: le madri fanno cose misteriose.


Ovviamente tutto sto bendiddio viene dal trasloco, perché non siamo né così patriottici, né milionari (solo il bollitore equivale a cinque pantaloni di marca). La cucina invece era l'unica tecnicamente possibile.

Ora, la suddetta cucina, prezzo e qualità media (ma c'è dell'ambizione, basta guardare il sito: il target asciuga il cane col phon) ci ha scucito uno stipendio medio - e menomale che non abbiamo spazio per una più grande. Da dove vengo, è una robetta economica e con uno stipendio medio ce ne compri cinque. Certo che - esperienza diretta - è anche vero che da dove vengo se solo chiedi informazioni sotto i 600 euro la venditrice ti guarda e pensa "ma i morti de fame tutti a me?".

Come si sono agevolmente resi conto Delfo e questo signore anonimo, nonché il Tano Gadget-man, ci sono (molti) casi in cui nostri soldi valgono pochetto.

Quindi la prima cosa che bisogna fare venendo a vivere costì - dopo aver sbaciucchiato l'asfalto dell'aeroporto - è smettere di fare confronti. So' due cose avurse.

sábado, 13 de junio de 2009

Para dura

Invece della solita Silvia, le ultime volte che ho aperto facebook ci ho trovato il consiglio: "fatti amico di Marcela". A parte che poi toccherebbe vedere se Marcela vuole essere amica mia, con la Silvia in questione si hanno amici comuni, quindi la cosa ha un suo senso; la Mar invece sarebbe un'estranea, se non fosse che: a. è cordobesa e vive a roma; b. ha un blog su blogspot su cui devo aver lasciato qualche commento taaanto tempo fa, mentre lei non mi pare proprio che passi da queste parti. Allora, feisbuc ha incrociato gi indirizzi e ha pensato uh guarda, questi abitano al contrario? oppure si è andato a cercare i commenti dimenticati in giro? vuole metter su il circolo perfetto? vale la pena tanta raccolta di dati del cavolo (al pedo, poi)? saprà che una volta ho lasciato una sciarpa a casa di Marina? come fa a sapere che la Silvia di cui sopra è proprio il mio tipo di brunetta-sgagioa? la lettura intensiva di Philip Dick mi ha bruciato i neuroni da piccolo? sono io che scrivo queste cose o sono controllato a distanza da Nixon?

jueves, 11 de junio de 2009

Milioni di morti (ci sarebbero potuti essere)

L'ho trovato ieri da aydesa, davanti al cui genio umilmente mi prostro, e oggi mi è arrivato in una mail-catena. E' un audio di Capusotto, una parodia delle radio catastrofiste - che a me ricorda le finte prime pagine der Tirreno che pubblicava il vernacoliere (esempio nel titolo).

Le telefonate degli ascoltatori invece non sono una parodia, sono praticamente uguali a quelle vere.

lunes, 8 de junio de 2009

Al mare, d'inverno

E' arrivato l'inverno cordobese, le brinate mattutine e lo splendido sole da pensionato-con-plaid, cioè quello dei venti gradi fissi. Ho anche ricevuto il mio lussuoso kit elettorale - a proposito, ma è corretto che le schede non siano timbrate?. L'idea è che lo scarso entusiasmo di votare da italiano all'estero e lo scetticismo sul referendum in sé mi porteranno alla stessa spiaggia di Craxi, Ruini e Ruggeri (Enrico). Ho il cuore che sanguina per i soldi che stiamo (state) sprecando (e anche per parte della compagnia), ma tant'è.


In primo piano, la lettera che il vento sta portando via.

jueves, 4 de junio de 2009

Vol de nuit

Se per essere coinvolti emotivamente da un avvenimento bisogna sentirsi parte della comunità che ne è stata toccata - ne parlava ieri Nicoletti a Melog, bè direi che in questi giorni mi sono sentito decisamente parte della comunità "AF447". Me lo dice un piccolo magone costante, e il fatto che mi son letto qualsiasi cosa, ipotesi, ricostruzioni, rivelazioni off the record, anche la monnezza pura, tutta roba che di solito evito accuratamente. Poi quando ho visto il titolo "mangiati dagli squali", ho capito che era ora di smettere. Quello ai parenti dev'essere piaciuto un sacco.

D'altra parte quelle rotte là sono le stesse nostre, gli aerei più o meno gli stessi su cui si sale - e da cui si scende, l'assortimento di gente è quello. La comunità, insomma. Un altro che c'è rimasto male (...una comunità di due) è Patrick; c'è pure un link a una bella canzone di Nino Ferrer.

Ma c'è una cosa che mi ha colpito in tutta la storia - con tutti i benefici di inventario del caso - ed è sentir parlare di zone scure, senza radar, in cui le comunicazioni sono precarie, gli aerei si seguono l'un l'altro tipo ciechini in fila, per cui da terra si aspetta un segnale, o di veder spuntare un'ala da lontano, o si fanno i conti del combustibile rimasto, per poi decidere che sì, il volo è sparito e bisognerà cercarlo più o meno qua (dito che traccia un cerchio sulla cartina). Ti fai l'idea che nello stesso momento in cui ci portiamo dietro il gps a Ostia, ci compriamo 16 airbag per metterci in fila sulla circonvallazione, leggiamo il principio di precauzione stampato sul tetra del latte, c'è ancora uno spazio di notte, di poesia e soprattutto di solitudine- terribile ma anche affascinante, se solo non ci fosse di mezzo un volo civile - lo spazio di Saint-Exupéry:

Commodoro Rivadavia non ode più niente; ma a mille chilometri di lì, venti minuti più tardi, Bahia Bianca intercetta un secondo messaggio:
«Discendiamo. Entriamo nelle nubi...»
Poi queste due parole d'un testo indecifrabile apparvero al posto di Trelew:
«... veder nulla...»
Le onde corte sono così. Vengono intercettate qui, ma più in là chi attende non ode nulla. Poi, senza ragione apparente, tutto cambia. Quell'equipaggio la cui posizione è sconosciuta, si manifesta già ai vivi, fuor dello spazio, fuori del tempo, e quelli che scrivono sulle pagine bianche dei posti radiotelegrafici son già fantasmi.
Il carburante è esaurito, o il pilota, prima dell'arresto del motore, giuoca la sua ultima carta: ritrovare la terra senza schiantarsi?
(...)
Il silenzio guadagna terreno. Un silenzio sempre più pesante, che si stabilisce su quell'equipaggio come il peso d'un mare.
Allora qualcuno osserva:
«Un'ora e quaranta. Ultimo limite della benzina: è impossibile che volino ancora.» Ed è la pace.

(Antoine de Saint-Exupéry, Volo di Notte, Mondadori, trad. C. Giardini)